Ambiente

Biodiversità, dibattito aperto sulle traslocazioni a scopo di conservazione

Silvia Marzialetti

Il tema è al centro dell'International Plant Translocation Conference (IPTC2022) in corso all'Università degli Studi Roma Tre. Ne parliamo con l'organizzatore, il professore Thomas Abeli.

Invertire il trend di perdita globale di biodiversità, per integrare politiche di sfruttamento sostenibile delle risorse naturali da cui dipende il benessere della popolazione mondiale in crescita e per ridurre i conflitti tra uomo e ambiente. Molte specie vegetali in tutto il mondo sono infatti minacciate o già estinte a causa della perdita di habitat, dell'inquinamento, delle specie aliene invasive e del cambiamento climatico.
Tra le azioni che possono contribuire a ridurre il rischio di estinzione vi sono le cosiddette traslocazioni a scopo di conservazione", definite dall'Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN) come dei movimenti intenzionali di specie da un sito ad un altro allo scopo di generare dei benefici per la conservazione delle specie stesse. L'Agenda 2030 delle Nazioni Unite delinea la strategia di medio termine.
Il tema è al centro dell'International Plant Translocation Conference (IPTC2022), un congresso internazionale sulla conservazione delle piante minacciate di estinzione in corso a Roma fino al 23 giugno con 70 relatori da 16 paesi. All'organizzatore della conferenza, Thomas Abeli, botanico del Dipartimento di Scienze Università degli Studi Roma Tre, abbiamo chiesto di illustrarci i temi portanti della conferenza.

Professor Abelli, le migrazioni assistite sono una realtà, o solo teoria? E, nel caso, dove vengono realizzate e su quali specie?

Le migrazioni assistite sono realtà e si stanno già attuando su molte specie animali e vegetali in tutto il mondo, in particolare sui coralli. Sono considerate da molti come estreme, perché prevedono lo spostamento di specie animali o vegetali in aree anche molto distanti da quella che è la loro area di origine: questo alimenta il dibattito sui potenziali rischi di alterazione degli ambienti dove queste specie vengono rilasciate. Essa, dunque, dovrebbe essere limitata ai soli casi in cui i benefici derivanti dall'applicazione di questa tecnica siano superiori ai potenziali rischi. C'è in generale molta prudenza nella loro applicazione, anche se non vi è una legislazione internazionale che regola questo tipo di tecniche.

Quale è il Paese più avanti su questo?

Negli Stati Uniti le migrazioni assistite erano fino a poco tempo fa limitate a quei casi in cui l'habitat di una specie era completamente compromesso nell'area di origine di una specie. Recentemente questo vincolo è stato rimosso e questo darà certamente un maggiore impulso all'utilizzo delle migrazioni assistite negli Stati Uniti, ma non solo, soprattutto in relazione ai cambiamenti climatici. In Italia è noto almeno un caso di migrazione assistita di un arbusto endemico della Sicilia, introdotto poco al di fuori della sua area di origine, sulla base di modelli di previsione del cambiamento climatico.

Quanti anni ci vorranno per arrivare alle de-estinzioni?

Le tecnologie per arrivare alle de-estinzioni sono già alla nostra portata, ma vi sono diverse questioni tecniche ed etiche che frenano la loro applicazione. Innanzitutto, far rivivere una specie estinta non è tecnicamente semplice; sicuramente non lo è per quanto riguarda gli animali; potenzialmente potrebbe essere più semplice realizzare una de-estinzione di piante sfruttando la longevità di semi e spore contenute in campioni botanici di specie estinte. Tuttavia, ci si chiede se abbia senso dedicare molte risorse a riportare in vita delle specie che sono già estinte quando queste risorse potrebbero essere utilizzate per evitare l'estinzione di altre specie minacciate. Inoltre, è molto difficile prevedere quale potrebbe essere l'impatto del rilascio in natura di organismi estinti da tempo. Quando una specie si estingue, infatti, gli ecosistemi si riorganizzano e altre specie prendono il posto di quella scomparsa. Reinserendo specie estinte in questi ecosistemi che hanno subito dei riarrangiamenti si possono nuovamente provocare degli squilibri, che saranno tanto più importanti quanto più tempo sarà passato dall'estinzione della specie stessa. Infine, realizzare una de-estinzione potrebbe far pensare, erroneamente, che possiamo riparare qualsiasi danno alla biodiversità, facendo così abbassare la guardia sulla conservazione delle specie esistenti, ad oggi la priorità di noi biologi della conservazione.

Cosa pensa del grande dilemma che attraversa i nostri tempi: da una parte la spinta alla sostenibilità (vedi green Deal e Farm to Fork), dall'altra la spinta a produrre sempre di più in agricoltura. Come si conciliano questi due temi?

Certamente questo è una delle più grandi sfide contemporanee; da un lato l'incremento della popolazione umana e quindi la necessità di produrre più cibo, dall'altra la necessità di produrlo in modo sostenibile, cioè dando tempo alla Natura di rigenerare le risorse. Contrariamente a quanto pensano in molti, la sfida non si vince ritornando alle tecniche dei nostri antenati, ma si vince grazie all'avanzamento delle conoscenze e alla tecnologia. Per esempio, l'agricoltura 4.0, quella tecnologica, ci permette di utilizzare le risorse in modo più smart, per esempio irrigando solo quando e dove è veramente necessario, utilizzando prodotti chimici più selettivi, selezionando varietà più resistenti e performanti, che permettono di aumentare le rese delle colture senza però aumentare le superfici coltivate, cosa che andrebbe a discapito degli ecosistemi naturali.Insomma, la parola d'ordine è sviluppare conoscenze di base e tradurle in tecnologie applicabili in agricoltura, ma non solo.

I vostri studi sono concentrati anche sulla Pianura Padana, area che produce il grosso del nostro pil agricolo e recentemente investita da intensi fenomeni di siccità...

La Pianura Padana è una delle aree più popolate e più vocate all'agricoltura del pianeta, quindi qui l'impatto dell'uomo sulla biodiversità è molto forte. Alcune piante sono già scomparse, ad esempio Stratiotes aloides, una pianta acquatica un tempo abbondante nei laghi di Mantova e nel ferrarese è attualmente estinta in Italia per effetto dell'eutrofizzazione delle acque. Per lo stesso motivo non ritroviamo più in Italia una pianta carnivora acquatica (Aldrovanda vesiculosa) un tempo presente nel nord-Italia ed oggi completamente scomparsa.

Altri esempi di specie in via di estinzione...

Due esempi a cui tengo molto perché sono oggetto dei miei studi insieme ai colleghi dell'Università di Pavia e di Torino. Si tratta di due felci acquatiche. La prima Isoëtes malinverniana cresce nei canali che alimentano le risaie del pavese e del vercellese ed è una specie endemica, cioè in tutto il mondo questa specie cresce soltanto nelle province di Pavia, Vercelli e marginalmente Novara. È una delle specie più minacciate al mondo visto che la sua popolazione si è ridotta di circa il 90% negli ultimi 20 anni e la situazione non sembra stabilizzarsi. Le minacce riguardano l'inquinamento delle acque, l'eutrofizzazione e la gestione aggressiva dei canali di alimentazione delle risaie che soprattutto in periodi come questi dove manca l'acqua, vengono ripuliti meccanicamente distruggendo le popolazioni di Isoëtes. Il rischio di perdere questa specie nel giro di poco tempo è concreto e purtroppo la sua conservazione è tutta sulle nostre spalle in quanto, come dicevo prima, essa cresce soltanto in Italia in tutto il mondo.

La seconda felce è il quadrifoglio d'acqua e anch'essa ha uno stretto legame con il riso essendo considerata, in passato, un'infestante delle risaie e per questo combattuta con i diserbanti. Oggi la situazione per Marsilea quadrifolia, questo il nome scientifico, è in miglioramento grazie all'utilizzo di diserbanti più selettivi, alla conversione di molte aziende risicole al biologico e ad interventi di reintroduzione in aree idonee.


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