Ambiente

Il libro/ «In un mare di ulivi. Coltura dell'ulivo e bioresistenze»

Giovanni Bracco

Il racconto di Marina Fresa, architetto e paesaggista, diventata per passione proprietaria terriera e produttrice di olio nel viterbese, in un libro sulla "civiltà dell'olivo"

«Dare il nome agli uliveti è una cosa cominciata per caso, quando, incredibilmente inconsapevoli, avevamo comprato il nostro primo uliveto. Nelle mappe era indicato al Foglio 53 del Catasto comunale. Gianni e io siamo nati nel 1953 e ci era sembrato – proprio com’era — un segno del Destino. E non basta: contati gli alberi erano 53! Inevitabilmente quello è diventato l’uliveto 53». C’è l’aria degli entusiasmi di Mario Soldati nell’avvio del racconto di Marina Fresa. Il racconto di un innamoramento, ricambiato; di una competenza che, nel tempo, ha consentito a lei e al marito Gianni di estendere l’azienda a 400 piante nel viterbese e di maturare saperi e convinzioni su «coltura dell’ulivo e bioresistenze», come spiega il sottotitolo del libro «In un mare di ulivi» (DeriveApprodi editore).

Marina Fresa, architetto e paesaggista che ha realizzato, fra l’altro, importanti restauri a Venezia per il ministero dei Beni culturali, non aveva alcuna esperienza in campo agricolo. Al colpo di fulmine, dopo avere visto e acquistato il primo uliveto, sono seguiti anni di studi, di esperimenti («sui libri non si capiva quasi niente» …), di incontri decisivi. Marina e Gianni sono passati così, ad esempio, dalle decisioni a vista a scelte meditate sulla base di misurazioni scientifiche (è il caso della raccolta delle Rosciole, con l’assaggio della «resistenza che la drupa oppone alla penetrazione della punta del penetrometro…»).

Il racconto si diffonde in consigli ed esempi dalla potatura al controllo delle malattie, dalla raccolta alla spremitura, con uno stupefacente catalogo delle varietà e un utile glossario. Fresa dedica uno sguardo particolarmente attento alle ragioni dell’agricoltura sostenibile e del paesaggio: «L’agroecologia mette in gioco molto più della mera produzione agricola, riguarda i territori, le comunità, la gentilezza, l’ambiente naturale, l’accesso alle risorse, il rapporto con il consumatore e il mercato».

«Il mare di olivi che dà titolo al libro – annota Giuseppe Barbera, ordinario di colture arboree all’Università di Palermo nella prefazione – diventa quello di Fernand Braudel, quello che fa da confine alle terre mediterranee: “una civiltà dell’olivo”, la coltura che ha assicurato per secoli benessere, alimento, bellezza, salute, reddito, qualità ambientale, piaceri culturali».


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