Politiche Agricole

Siamo sicuri che la carne degli allevamenti sia più naturale di quella "coltivata"?

Vincenzo Acquafredda e Roberta Stasi*

«Nelle stalle c'è un uso massiccio di farmaci e antibiotici oltre a selezione della razza che non ha nulla di naturale. Serve un dibattito più scientifico e meno ideologico»

Il disegno di legge presentato il 28 marzo 2023 dal Consiglio dei Ministri italiano introduce il divieto di produzione e immissione sul mercato di carne sintetica, nel rispetto del principio di precauzione di matrice europea. La proposta del Governo è quella di vietare l'impiego (nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi) la vendita, l'importazione, oppure la distribuzione di cibi o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati. In caso di violazione il prodotto verrebbe confiscato e l'operatore sarebbe soggetto a una multa che va da 10mila euro fino ad un massimo pari al 10% del fatturato realizzato nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente all'accertamento della violazione.

Sebbene l'Unione Europea non abbia ancora autorizzato la commercializzazione della carne prodotta in laboratorio e potrebbe farlo, come del resto è già accaduto per Stati Uniti e Singapore, il Governo italiano ha comunque ritenuto di intervenire precauzionalmente con l'intento di tutelare gli interessi legati alla salute e al patrimonio culturale.

Quella del Governo è una proposta fortemente discutibile, perché sembra andare in controtendenza rispetto ai nuovi trend alimentari connessi all'innovation food.

È sempre crescente, infatti, l'interesse del consumatore verso i nuovi cibi funzionali, con maggiori apporti nutrizionali, salutistici e sostenibili.Ma cos'è esattamente la "carne sintetica"?

Iniziamo col chiamarla più propriamente "carne coltivata". Non si tratta di un prodotto come "Beyond Meat" o "Impossible Burgers", che come si sa sono creati utilizzando ingredienti di origine vegetale, bensì di carne ottenuta partendo da una cellula staminale, prelevata da un animale, quindi senza macellazione, inserita in un bioreattore e "alimentata" da un siero di coltura.

Per moltiplicarsi la cellula staminale deve produrre la sintesi delle sue proteine. Così il numero delle cellule aumenta fino a diventare una vera e propria porzione di carne. Per garantire questo processo biochimico occorre fornire alle cellule un'adeguata dose di amminoacidi e altri nutrienti, come minerali, vitamine, modulatori genici. È soprattutto dagli amminoacidi utilizzati nella crescita che dipendono la qualità e la sicurezza nutrizionale della carne stessa.

Raccontata così la carne coltivata potrebbe sembrare fantascienza. Le maggiori perplessità non riguardano le caratteristiche intrinseche della carne in vitro, ma la sua percepita mancanza di naturalità.

Vi è una diffusa avversione a tutto ciò che è percepito come 'sintetico': da qui la contrapposizione tra una carne 'naturale' e una 'sintetica', 'artificiale' o 'di laboratorio'.

Tale dicotomia però è fuorviante. A pensarci bene, infatti, vi è davvero poco di 'naturale' negli attuali processi di produzione di carne su scala industriale (il riferimento, ad esempio, è alla selezione artificiale degli animali, al confinamento in luoghi chiusi, alla rimozione di parti del corpo, all'uso massiccio di farmaci, ormoni, antibiotici, aromi e coloranti talvolta pericolosi per la salute, ecc.). Al contrario, la carne coltivata in vitro è pur sempre formata da una cellula animale che cresce secondo processi interamente "naturali".

Escludendo i casi di modifiche genetiche, infatti, le cellule coltivate in vitro non sono meno naturali di quelle che crescono e si moltiplicano negli animali stessi e forse sono addirittura più sicure, sebbene ad oggi non ci sono ancora dossier scientifici al vaglio dell'Efsa (European Food Safety Authority), per la valutazione di sicurezza come alimento destinato al consumo umano, come invece è avvenuto negli Usa da parte della Fda (Food and Drug Administration).

Con certezza si può solo affermare che la carne coltivata fa senz'altro bene al pianeta: si pensi, infatti, a quanti animali si uccidono ogni anno negli allevamenti da macello (e a quanti se ne uccideranno ancora perché stando alle stime entro il 2050 i consumi globali di carne aumenteranno di oltre il 70%), per non parlare dell'inquinamento ambientale provocato dagli allevamenti intensivi. Ecco da dove arriva l'interesse per la carne coltivata. Già nel 1931 Churchill scrisse che un giorno «sfuggiremo all'assurdità di far crescere un pollo intero solo per mangiarne il petto o l'ala, facendo crescere queste parti separatamente in un ambiente adatto».

Quasi un secolo dopo, la scienza ha reso questa ipotesi una realtà che potrà consentire alle generazioni future non solo di sfuggire all'assurdità, etica ed economica già denunciata dal primo ministro inglese, ma anche di ridurre l'impatto di una crescente domanda di prodotti animali in un contesto ambientale che ha già superato il limite della propria sostenibilità. Anche secondo il Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi, lo sviluppo e l'adozione di tecniche per la produzione di carne da cellule staminali di animali potrebbe rappresentare un passo importante per costruire un futuro migliore per l'umanità, rispettoso delle altre specie animali e dell'ecosistema del pianeta.Come è facile immaginare la maggioranza delle proteine animali oggi consumate nei Paesi sviluppati provengono da allevamenti intensivi nei quali le condizioni di vita e il benessere degli animali continuano ad essere percepiti come mere esternalità, come costi da contenere il più possibile. In tale contesto, la diffusione di prodotti ottenuti da colture cellulari in vitro potrebbe contribuire direttamente alla riduzione del numero di animali allevati in tali condizioni.

Un ulteriore vantaggio, anche per la salute pubblica, sarebbe la riduzione dell'uso di antibiotici, largamente utilizzati negli allevamenti intensivi, che però incrementano il rischio di generare ceppi batterici sempre più resistenti agli antibiotici attualmente in commercio. Inoltre, i reflui prodotti dagli allevamenti intensivi sono inquinati da antibiotici e batteri ad essi resistenti, il che ne rende rischioso il riutilizzo come fertilizzanti per l'agricoltura.

Infine, la scala stessa degli allevamenti facilita il contagio tra gli animali e tra gli animali e l'uomo, come avvenuto nei casi tristemente noti dell'influenza aviaria e della "mucca pazza".

La carne ottenuta da colture cellulari può, invece, essere coltivata in ambienti strettamente controllati, riducendo significativamente il rischio di malattie di origine animale e il ricorso agli antibiotici.

Non va neppure trascurato che le tecniche di coltura cellulare potrebbero soddisfare parte della domanda di carne a fronte di una considerevole riduzione dei costi ambientali attuali. L'allevamento di animali produce il 15% dei gas serra, più di quelli emessi dall'intero settore dei trasporti. L'impatto più significativo, poi, è sul consumo di acqua: la produzione di 1 kg di carne rossa richiede 15 – 20.000 lt di acqua.Di contro, alcune ricerche preliminari hanno concluso che la carne ottenuta da colture cellulari potrebbe usare il 7-45% in meno di energia, il 99% in meno di suolo, l'82- 96% in meno di acqua, emettendo tra il 78-96% in meno di emissioni a seconda del prodotto animale considerato.

Nessun'altra tecnica di produzione alimentare prospetta di avere un rapporto tra costi (ambientali) e benefici (in resa di cibo) tanto favorevole. Con tali stime l'adozione di tecniche di coltura cellulare potrebbe essere una delle poche soluzioni praticabili per soddisfare la futura domanda di carne senza aggravare la presente crisi ecologica.

Della carne coltivata in Italia se ne parla dal 2000, da quando l'economista e ricercatore Jason Matheny curò il più importante articolo scientifico sul tema e fondò, di lì a poco, la "New Harvest", la prima organizzazione mondiale senza scopo di lucro dedicata al supporto della ricerca sulla carne in vitro. Bisogna aspettare il 2013, però, per vedere il primo prototipo di ‘clean meat'. In quell'anno, infatti, Mark Post, professore all'Università di Maastricht, ha presentato pubblicamente il primo esemplare di carne sintetica: un hamburger. E solo 7 anni dopo, per la precisione nel dicembre 2020, si è potuta assaggiare, per la prima volta, in un ristorante di Singapore la carne sintetica.

La Commissione europea, però, non si è ancora pronunciata sulla carne coltivata, non essendo stata ancora presentata alcuna richiesta di autorizzazione come ‘Novel Food'. Ai sensi del regolamento Ue 2283/2015 si definiscono ‘Novel Food' tutti quei prodotti e sostanze alimentari privi di storia di consumo "significativo" al 15 maggio 1997 in UE, e che, quindi, devono sottostare ad una autorizzazione rimessa all'Efsa, per valutarne la loro sicurezza, prima della loro immissione in commercio.

Peraltro l'invocazione fatta nel Ddl al "principio di precauzione" di cui all'art. 7 del regolamento Ue 178/2002 non è corretta, perché il citato articolo parla di «misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio»: ad oggi, però, non esiste nessuna prova scientifica che la carne coltivata presenti rischi per la salute umana e qualora, invece, tale alimento ottenga l'autorizzazione come "Novel Food" vi sarà prova del contrario. Con il rischio che l'unico prodotto vietato sarebbe la carne sintetica "made in Italy" e il divieto imposto dal Governo italiano, oltre a risultare poco efficace, precluderebbe all'Italia un mercato interessante non solo sotto il profilo etico ed ecosostenibile.

Il disegno di legge del Governo risulta miope, inutile ed in parte non applicabile: miope perché non tiene conto dei vantaggi della carne coltivata, inutile perché ad oggi la vendita di alimenti e mangimi coltivati non è autorizzata dall'Ue, in parte non applicabile perché, una volta che la carne coltivata riceverà l'approvazione come ‘Novel Food' questa potrebbe circolare liberamente nel mercato europeo (e quindi anche italiano), senza possibilità di invocare il già richiamato "principio di precauzione", non essendoci, sulla scorta del parere favorevole dell'Efsa, alcun rischio da prevenire.

Un'ultimissima considerazione deve essere fatta. Si ha quasi l'impressione che il Governo con questa sua presa di posizione nei confronti della carne sintetica sia caduto in palese contraddizione rispetto al proprio dichiarato obiettivo di perseguire una sempre maggiore ‘sovranità alimentare' per il nostro Paese. D'altronde non a caso la sovranità alimentare è a pieno titolo entrata proprio nella nuova dicitura del Ministero dell'Agricoltura che, come si sa, adesso si chiama "Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste".

I dati di mercato ci dicono che, ad eccezione delle carni bianche, di pollo e tacchino, la maggior parte delle altre carni è di importazione provenendo dalla Francia, dalla Germania e dall'Ungheria; ne consegue che con questo disegno di legge la sovranità alimentare, almeno per il comparto carne, rischia di rimanere soltanto uno slogan.

Ad ogni modo, al di là dei punti di vista e delle singole preferenze, nel resto del mondo l'industria della carne sintetica è in forte crescita e stanno nascendo una dopo l'altra aziende e startup innovative che attirano grandi investimenti. Secondo una analisi di McKinsey, entro il 2030 il business della carne coltivata potrebbe valere fino a 25 miliardi di dollari e la carne coltivata arrivare a costare quanto quella animale. Si stima, inoltre, che nel 2050 un quarto di tutta la carne mangiata nel mondo potrebbe essere prodotta in laboratorio. E tutto questo accadrà anche se l'Italia non è d'accordo.

*Partner e Counsel Trevisan & Cuonzo


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