Politiche Agricole

Cia lancia «Il Paese che vogliamo» progetto per il rilancio delle filiere e delle aree rurali

Giorgio dell'Orefice

Scanavino: da settembre via a un roadshow in Italia con tavoli di riflessione sui problemi delle singole aree e delle differenti produzioni per rafforzare l'attrattività dei territori e la competitività dei prodotti made in Italy

Il territorio al centro con la sua dotazione di infrastrutture e il ruolo che gli agricoltori possono svolgere nell'ottica della tutela delle aree rurali. Ma anche il miglioramento delle condizioni di vita nelle aree interne, la lotta alla fauna selvatica e il rafforzamento dei rapporti di filiera in un'ottica di riequilibrio a monte della catena del valore ovvero a favore di chi produce le materie prime alla base del successo del made in Italy agroalimentare.

Sono questi i cinque pilastri de "Il Paese che vogliamo" il progetto di riforma che Cia-Agricoltori italiani si impegna a proporre e promuovere anche grazie a un roadshow con tappe in varie regioni. Il calendario degli appuntamenti ancora provvisorio e non esaustivo prevede al momento la tappa del 2 settembre a Sassello (Savona) che coinvolgerà Liguria e Piemonte e poi quella del 4 settembre a Benevento in Campania. A breve seguiranno poi gli appuntamenti (con date ancora da definire) nelle Marche e in Abruzzo. Nel corso del roadshow i temi messi sotto i riflettori da Cia-Agricoltori italiani saranno analizzati in singoli tavoli tematici nei quali saranno di volta in volta chiamati a confrontarsi rappresentanze istituzionali, enti Parco, camere di commercio, associazioni di categoria per artigianato e turismo, telecomunicazioni, industria, distribuzione e trasporti, consorzi di bonifica, organi scolastici e sanitari, mondo scientifico e accademico.

«Punto di partenza sono i territori e la loro dotazione di infrastrutture – spiega il presidente di Cia-Agricoltori italiani, Dino Scanavino -. Infrastrutture intese non solo come fisiche ma anche sociali e tecnologiche. Mi riferisco cioè anche ai presidi sanitari e di assistenza alle persone, ma anche le strutture scolastiche o i centri di formazione e le università. Oltre poi alle infrastrutture tecnologiche e cioè la banda larga che spesso non copre le aree rurali. Tutta quella dotazione di servizi che rendono più agevole la vita nelle aree rurali e – soprattutto – possono agevolare l'insediamento di un'impresa agricola».

Ma per l'agricoltura anche le infrastrutture fisiche sono importanti a cominciare dalla rete idrica.

Assolutamente sì. Un capitolo oggi che in Italia vede un forte protagonismo del sistema dei consorzi di bonifica. Sicuramente hanno il pregio di sollevare delle importanti problematiche ma va anche detto che le loro iniziative non sono le uniche su questo importante fronte. Il loro è un progetto di manutenzione del territorio che a nostro avviso va governato all'interno di un progetto più ampio del Governo centrale o delle amministrazioni regionali. È vero che piove in maniera diversa rispetto al passato con fenomeni intensi e violenti che si alternano a lunghi periodi di siccità. Ma scontiamo anche alcuni miseundestanding.

Del tipo?

Penso alle alluvioni di Genova o di altre zone del paese. Quando accadono eventi del genere subito ci si impegna a rafforzare gli argini dei fiumi a valle. E si dimentica che spesso il problema è la cattiva gestione a monte. Occorre quindi una maggiore visione di insieme. La priorità deve essere quella di trattenere di più l'acqua quando ce ne è in abbondanza e restituirla quando manca. Fornirla innanzitutto all'agricoltura che la utilizza per coltivare i campi restituendola così alla falda e in questo modo anche alla collettività.

Ma nel vostro progetto parlate anche di filiere e di competitività delle produzioni

Certo, al centro del nostro progetto c'è ovviamente l'agricoltura. E questo perché in vari segmenti e in misure diverse c'è bisogno di riflessioni approfondite sulla distribuzione del valore e in genere sulla competitività delle produzioni. Ci sono in particolare alcune filiere che hanno bisogno di fare economie, di un generale efficientamento e di assicurare una redditività maggiore ai produttori della materia prima agricola. Penso in particolare all'uva da vino in particolari aree del paese, alla crisi della frutta estiva ma anche alle pere del ferrarese; penso alla zootecnia da carne che sta perdendo competitività e che vede oggi il prodotto italiano pagato meno della carne francese quando il rapporto è storicamente stato all'inverso. Abbiamo il problema della dipendenza dei vitelli da ristallo dalla Francia mentre ci sono potenzialità nelle aree interne italiane per pascoli e zootecnia estensiva. Al di là dell'etichettatura sulla materia prima italiana, serve mais Ogm free per le filiere del Prosciutto di Parma e di altri prodotti di qualità. Dobbiamo valorizzare le filiere italiane attraverso accordi con stoccatori, trasportatori e cooperative per ridurre i costi e trattenere valore per i produttori.

Ci sono solo filiere in crisi?

No ci sono anche settori che vanno bene come il comparto lattiero caseario nella provincia di Reggio Emilia dove abbiamo contrariamente a quella che sembrava una regola, una redditività maggiore per il latte prodotto in collina rispetto a quello della pianura. E questo perché il primo è inserito nel circuito del Parmigiano reggiano il secondo no. Il che ci fa capire che non esiste una contrapposizione collina/pianura ma tra filiere efficienti e non efficienti.
E riguardo agli accordi internazionali?

Anche su quelli bisogna guardare ai dati di mercato mentre spesso si tende a semplificare troppo. Ci siamo stracciati le vesti nel settore del riso perché Bruxelles inserisca una clausola di salvaguardia contro le importazioni dal Sud Est asiatico. Adesso che quella clausola di salvaguardia è stata attivata stiamo scoprendo che i prezzi del riso restano su livelli molto bassi. Quindi non era solo una questione di import fuori controllo. Il punto vero è questo e cioè che vogliamo proporre alcuni temi per un progetto agricolo per il paese. Ma contemporaneamente anche aprire una riflessione nei territori perché i problemi che abbiamo davanti sono spesso più complessi di quanto possa sembrare a una prima occhiata. E l'unica strada che intravediamo è quella di cercare soluzioni il più condivise possibile. Questo il senso de "Il Paese che vogliamo".


© RIPRODUZIONE RISERVATA