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Pratiche commerciali sleali: ambito di applicazione esteso ai fornitori stranieri

Nicola Lucifero*

Con la legge 103/2023 l’ambito di applicazione del D. Lgs. 198/2021 viene esteso alle cessioni transazionali nel caso di acquirente stabilito in Italia. Le ipotesi di preavviso breve

Il Decreto legge 13 giugno 2023, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla Legge 10 agosto 2023, n. 103 ha introdotto alcune modifiche al D. Lgs. 198/2021 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare.

In particolare, il comma 2 dell’art. 1 D. Lgs. 198/2021 prevede ora che nell’ambito soggettivo di applicazione del decreto rientrino le cessioni di prodotti agricoli ed alimentari eseguite da fornitori stabiliti nel territorio nazionale o da fornitori stabiliti in altri Stati membri o in Paesi terzi quando l’acquirente è stabilito in Italia, indipendentemente dal fatturato dei fornitori e degli acquirenti.

È stato dunque aggiunto il riferimento ai fornitori stabiliti in altri Stati membri o Paesi terzi, nel caso in cui l’acquirente sia stabilito in Italia.

Precedentemente alla riforma, la norma nulla disponeva al riguardo, limitandosi a disciplinare le cessioni eseguite da fornitori stabiliti nel territorio nazionale, pertanto l’interpretazione doveva considerarsi restrittiva.

L’ambito di applicazione del D. Lgs. 198/2021, dunque, non ricomprendeva anche i casi di cessioni transazionali nel caso di acquirente stabilito in Italia. Per contro, con la recente modifica occorre estendere il perimetro applicativo anche agli atti di cessione tra operatori situati in diversi Paesi. In questo senso, è necessario adeguare i rapporti di fornitura esistenti in modo da garantire la corretta applicazione della legislazione vigente.

Ora, la materia delle obbligazioni contrattuali e dei contratti che ne stanno a fondamento è disciplinata dall’art. 57 della L. 218/1995 che impone l’applicazione delle norme contenute nella Convenzione di Roma del 19 giugno del 1980 (“Convenzione di Roma”), facendo salva, tramite la clausola di salvaguardia, l’operatività di altre Convenzioni internazionali in quanto applicabili.

Tra esse, si ricorda la Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980 sulle vendite internazionali (“Convenzione di Vienna”) che rappresenta la disciplina di riferimento anche per la cessione dei prodotti alimentari a livello internazionale.

Questa è qualificabile quale convenzione di diritto materiale uniforme, in quanto le sue norme disciplinano direttamente le fattispecie transazionali cui si riferiscono. Secondo giurisprudenza consolidata (Cass. Sez. Un. 14837/02 e 18902/04, Cass. n. 1867/2018), le norme della Convenzione di Vienna devono prevalere su quelle di diritto internazionale privato vigenti negli ordinamenti dei singoli Stati contraenti.

Ciò sulla base del fatto che il diritto materiale uniforme ha carattere di specialità, poiché risolve direttamente il problema della regolamentazione della fattispecie, evitando il passaggio che consiste nella individuazione del diritto applicabile, e quindi nell’applicazione dello stesso in conformità alle regole di diritto internazionale privato. In ogni caso, l’art. 6 della Convenzione di Vienna sancisce che le parti possono escluderne l’applicazione. Pertanto, prevale l’autonomia contrattuale.

Si rammenti altresì che ove le parti abbiano sede in Stati Membri dell’Unione Europea, si applica il Regolamento (CE) 593/2008 (“Regolamento Roma I”), il quale ha efficacia diretta negli ordinamenti dei singoli Stati membri. Pertanto, non ha necessità di ratifica e non possono formularsi riserve sul contenuto delle singole norme.

In questo ambito, la legge applicabile è individuata dalla volontà delle parti, che possono anche individuare una legge diversa per alcuni elementi del contratto (c.d. depecage) (art. 3, par. 1, Regolamento (CE) 593/2008). In mancanza di scelta delle parti, il Regolamento Roma I, piuttosto che fissare criteri residuali, quali ad esempio quello della soggezione del contratto alla legge del Paese con il quale il rapporto negoziale presenta il collegamento più stretto (come dispone, ad esempio, l’art. 4 Convenzione di Roma), fissa criteri specifici per le varie tipologie contrattuali prese in considerazione.

Più nel dettaglio, l’art. 4 del Regolamento Roma I stabilisce che in mancanza di scelta delle parti, il contratto di vendita di beni e quello di distribuzione sono disciplinati dalla legge del Paese nel quale il venditore ha la propria residenza abituale. Avendo riguardo al concetto di norme di applicazione necessaria, si ricorda che l’art. 17 L. 218/1995 fa salva la prevalenza sulle norme di diritto internazionale privato delle norme italiane che “in considerazione del loro oggetto e del loro scopo” devono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera.

Nella disciplina previgente, le disposizioni del decreto di attuazione che riporta le modalità applicative dell’art. 62 d.l. 24 gennaio 2012, n.1) adottato dal MASAF il 19 ottobre, n. 199 erano considerate di applicazione necessaria. Non vi è, tuttavia, la stessa specificazione anche per le norme del D. Lgs. 198/2021. Il legislatore nell’ambito del D. Lgs. 198/2021 ha infatti chiarito quali sono le norme imperative, ma ha lasciato la discrezionalità delle parti nel decidere quale sia la legge applicabile al contratto.

La modifica apportata pertanto appare in linea con la ratio del D. Lgs. 198/2021. Il perimetro soggettivo di applicazione dello stesso prende in esame, infatti, i rapporti commerciali tra acquirente e fornitore, ammettendo la possibilità di uno squilibrio anche a sfavore dell’acquirente. Infatti, il D. Lgs. 198/2021 tutela il contraente debole in quanto tale, identificato, a seconda della tipologia di pratica sleale, nel fornitore o nell’acquirente.

Dunque, le pratiche commerciali sleali non sono attribuibili al solo acquirente, quanto piuttosto più genericamente al “contraente forte”, che può ben essere identificato nel fornitore.

La modifica da ultimo introdotta all’art. 1, c. 2 del D. Lgs. 198/2021 come variato dal D.L. 13 giugno 2023, n. 69, rappresenta un ulteriore sviluppo di questa impostazione, allargando anche al fornitore stabilito fuori dal territorio nazionale la possibilità di avvalersi delle tutele previste dalla normativa nazionale sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Restano tuttavia innegabili le complicazioni di ordine pratico.

Un’ulteriore modifica del D. Lgs. 198/2021 si rinviene all’art. 4 modificato mediante il D.L. 13 giugno 2023, n. 69, convertito con modificazioni, dalla L. 10 agosto 2023, n. 103.

È infatti stato espressamente previsto che mediante un regolamento del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (“MASAF”) da adottare con decreto ministeriale entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione devono essere individuati i casi particolari ed i settori nei quali le parti di un contratto di cessione possono stabilire termini di preavviso inferiori a trenta giorni per l’annullamento degli ordini.

Infatti, l’art. 4, c. 1 lett. c) prevede che l’annullamento da parte dell’acquirente di ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con termini di preavviso brevi, ossia inferiori a trenta giorni, sono considerati pratica commerciale sleale (nella “black list”). È stato pertanto ridefinito il termine entro il quale il MASAF deve adottare il decreto ministeriale esplicativo dei casi particolari ove l’annullamento con preavviso inferiore a trenta giorni non costituisce pratica commerciale sleale.

Da ultimo, l’art. 9, c. 1 è stato sostituito a norma dell’art. 25 c. 1, lett. c) D.L. 13 giugno 2023, n. 69, convertito con modificazioni, dalla L. 10 agosto 2023, n. 103. Il correttivo introdotto dal legislatore consente a tutti i soggetti stabiliti nel territorio nazionale, indipendentemente dal luogo di stabilimento dell’operatore sospettato di aver attuato una pratica commerciale vietata, di presentare denunce all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi prodotti agro-alimentari (“ICQRF” ossia l’Autorità di contrasto preposta) oppure all’Autorità di contrasto dello Stato membro in cui è violato il D. Lgs. 198/2021. Il testo dell’art. 9 del D. Lgs. 198/2021 presenta un ulteriore elemento di novità. In tal senso, il c. 1, così come da ultimo modificato, aggiunge che quando la parte acquirente è stabilita nel territorio nazionale, le denunce all’Autorità di contrasto possono essere presentate anche da parte di fornitori stabiliti in Stati membri o Paesi terzi.

Pertanto, tale disposizione estendendo la legittimazione a presentare denuncia all’ICQRF anche ai fornitori stabiliti fuori dall’Italia risulta allineata con la previsione richiamata dell’art. 1, c. 2 D. Lgs. 198/2021.In conclusione, si tratta di correttivi apportati al D. Lgs. 198/2021 nella prospettiva di fare maggiore chiarezza sul punto relativo all’ambito di applicazione di una disciplina complessa che presenta ancora oggi diversi nodi ermeneutici e la cui ricaduta pratica notevoli interrogativi irrisolti.

*Lca Studio Legale


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