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Deliveroo raddoppia in Italia: nel 2019 la copertura sulle città si espande del 353%

Silvia Marzialetti

L'11 dicembre l'Antitrust britannica si pronuncerà sulla fattibilità dell'accordo con Amazon, congelato a luglio. Sul piatto c'è un aumento di capitale di 575 milioni. Carberry (G.C. Affairs director): «Siamo fiduciosi»

«Sulla fattibilità dell'accordo con Amazon siamo fiduciosi». Jeans, maglietta, sguardo da eterno ragazzino, Joe Carberry, Global Corpor Affairs director di Deliveroo, azienda leader in Europa del food delivery, risponde così alla richiesta di fare una previsione sul responso dell'Antitrust Uk. La decisione è attesa per l'11 dicembre. Sul piatto c'è un aumento di capitale di 575 milioni di dollari per Deliveroo annunciato a maggio da Jeff Bezos, numero uno di Amazon. L'investimento - che rientra nel round serie G di investimenti, di cui il colosso di Seattle rappresenta il principale investitore al fianco di T Rowe Price, Fidelity Management & Research Co. e Greenoaks - è stato congelato a luglio dal regolatore britannico, che sospetta una violazione delle norme sulla concorrenza nel mercato britannico del food delivery. Tra pochi giorni la Competition and Markets Authority - guidata dall'ex deputato inglese Andrew Tyre - annuncerà se archiviare il caso o proseguire con la fase istruttoria.
«L'operazione non prefigura una violazione della concorrenza – prosegue Carberry interpellato da Il Sole 24 Ore Radiocor – perché si basa su un investimento di minoranza».
E conclude: «We are confident».
La stessa posizione è stata espressa alcune settimane fa da Amazon.

Deliveroo in Italia
Intanto marciano a gonfie vele gli affari della start up fondata nel 2013 da Greg Orlowski e William Shu. Nel modernissimo headquarter londinese di Cannon Street, vista su Tower Bridge, di fronte la redazione del Financial Time, il management fornisce a Il Sole 24 Ore Radiocor le anticipazioni di chiusura del 2019 in Italia: un aumento degli ordini superiore al 100% e una copertura su 154 città, con una espansione del 353% rispetto alle 34 dell'anno precedente.
Nel coloratissimo open space affacciato sul Tamigi decine di giovani (età media 30 anni) lavorano al proprio tablet, scambiando informazioni, chiacchere e sorseggiando tazze di caffè. L'ambiente è dinamico e informale, si respira un'aria effervescente. Negli uffici accanto lavora William Shu, il banchiere che si ostinò a importare da Manhattan un modello evoluto di food delivery. E che oggi è noto per le sue sortite del venerdì pomeriggio quando, spento il Pc, appare nella cucina comune imbracciando cartoni di spicy pizza per tutti.
In Italia Deliveroo impiega direttamente più di duecento dipendenti, collabora con più di 8mila ristoranti e con più di 8500 rider: «Entro il 2020 - afferma il management - qualora fosse confermata la crescita attuale, Deliveroo supporterà 5900 posti di lavoro, generando un impatto complessivo sull'economia italiana pari a 130 milioni di euro».
Il 2018 si è chiuso positivamente per l'azienda che oggi opera in 13 Paesi tra Europa (ad agosto è stato abbandonato il mercato tedesco), Asia, Emirati Arabi: in Italia i ricavi sono aumentati del 130%, passando da 6,1 milioni di euro del 2017 a 14 milioni e il fatturato ha toccato quota +97% (da 11,1 milioni a 21, 9 milioni). I profitti sono stati di 1,5 milioni di euro, un risultato agevolato dall'intervento della casa madre, la britannica Roofoods Ltd, che nel 2018 ha finanziato Deliveroo Italia Srl per circa 7,8 milioni.

L'algoritmo
Nonostante le performance da capogiro, il sistema del food delivery è fortemente criticato, soprattutto in Italia. Sotto accusa «lo strapotere dell'algoritmo», il sistema che incrociando tutti i dati - specificità del piatto ordinato, posizione del ristorante, ora del giorno e giorno della settimana, numero dei riders a disposizione, numero degli ordini, distanza ristorante-consumatore, connette ordini e clienti attraverso un rider, pagato sulla base del numero delle prestazioni. «E' la formula preferita dai fattorini nei 13 Paesi in cui operiamo», spiegano i manager.
Alcuni riders, che con le loro cavalcate mandano avanti la gig economy, hanno detto di sentirsi degli «sfruttati nelle mani di un burattinaio». Si accusa l'algoritmo di escludere dal mestiere le donne, o comunque figure meno performanti e di costringere i prescelti a prestazioni piuttosto pesanti. Numerose le manifestazioni in Italia lo scorso inverno.
«C'è stato un grosso equivoco sullo strapotere dell'algoritmo», replica Carberry. «Esso non misura nessun parametro legato alla persona come sesso, età, velocità, tempo di consegna: utilizza soltanto dati legati alla localizzazione e al mezzo utilizzato dal rider, per garantire la massima efficienza». E aggiunge: «Non c'è alcuna forma di discriminazione, nè di rating. L'algoritmo non fa che implementare una scelta umana».
Forse per renderlo più friendly, in Deliveroo si è deciso di dargli un nome: Frank, dal buffo personaggio che Danny De Vito interpreta nella serie "It's always sunny in Philadelphia".


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