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Zonin: entro settembre la scelta del partner che sarà di minoranza e non operativo

Giorgio dell’Orefice

Per chiarire i contorni dell’operazione di apertura del capitale dell’azienda veneta scende in campo il vicepresidente Francesco Zonin: molte le ipotesi sul tavolo ma i nuovi soci dovranno condividere un progetto di crescita internazionale e non entreranno nella gestione neanche nel caso di un partner industriale

«Sulla ricerca di un partner sono arrivate già tante proposte che sono al vaglio del nostro advisor Mediobanca. Penso che decideremo a settembre, con la nuova vendemmia. In tutti i modi si tratterà di una partecipazione solo di minoranza e non operativa». Francesco Zonin, vicepresidente esecutivo della Zonin 1821 (azienda con 4mila ettari di vigneti in 9 tenute tra Italia, Usa e Cile e che nel 2017 ha tagliato il traguardo dei 200 milioni di euro di fatturato) in questa chiacchierata con Agrisole parla a tutto tondo dell'azienda di famiglia che guida insieme ai fratelli Domenico (presidente) e Michele (anch'egli vicepresidente) dopo averla ereditata nei mesi scorsi dal padre Gianni coinvolto nelle vicende della Banca Popolare di Vicenza. Entra nel dettaglio dell'operazione in corso di apertura del capitale a nuovi soci, ma anche dei risultati degli ultimi anni, degli importanti investimenti effettuati sui mercati esteri e dei trend delle principali denominazioni italiane nelle quali sono coinvolti in prima persona.
«La volontà di aprire il capitale è forte – spiega -. Veniamo da un decennio positivo nel corso del quale abbiamo triplicato il fatturato giunto a quota 201 milioni, l'85% dei quali realizzati all'estero. Abbiamo effettuato grandi investimenti in questi anni e ora abbiamo bisogno di trovare dei compagni di viaggio per aprire una nuova fase di sviluppo».
Solo un compagno di viaggio?
Sì la partecipazione sarà minoritaria e non operativa
Anche nel caso di un partner industriale?
Sì anche in quel caso. Stiamo valutando varie proposte che ci sono giunte. Alcune sono di carattere puramente finanziario altre riguardano partner industriali.
E anche in quest'ultimo caso la partecipazione sarà “non operativa”?
Esattamente. Posso, ad esempio, fare un accordo con un produttore di Champagne per mettere insieme la rete di vendita in Cina e condividere il portafoglio dei mercati ma poi a livello operativo non cambia nulla. Insomma anche un partner industriale non è affatto detto che poi debba partecipare attivamente alla gestione aziendale.
Quindi un'operazione che punta a crescere ancora all'estero?
Siamo presenti su tutti i mercati quelli nuovi come quelli maturi. Abbiamo effettuato grandi investimenti per rafforzare la nostra presenza all'estero tanto che ormai parliamo genericamente di “mercati” senza differenziare più l'Italia dall'estero. E questo nonostante in Italia realizziamo ancora un giro d'affari di 35 milioni che non è poca cosa. Ma è anche vero che non tutto è esportabile. Per fare un esempio un conto è il Chianti classico un altro la Bonarda».
Che tipo di investimenti sono stati effettuati?
Soprattutto sulla rete distributiva che abbiamo letteralmente “ribaltato”. In Germania abbiamo un'area distributiva a hoc che segue il retail e si occupa dell'horeca. La Cina in maniera diversa abbiamo una struttura mista tra la nostra società e importatori locali, abbiamo ad oggi 36 distributori regionali e ci appoggiamo anche a partner più strutturati e la nostra controllata di esportazione Zonin 1821 China fa da “pivot”. In Inghilterra importiamo e distribuiamo con Zonin 2821 Uk mentre negli Stati Uniti con Zonin 1821 Usa importiamo solo e questo perché in quel paese tutto dipende dai differenti regimi che nei vari stati governano la distribuzione del vino e dell'alcol. E poi collaboriamo con alcuni resident manager uno in Canada, uno a San Paolo e 4 in Germania, uno in Svezia a Stoccolma uno in Nigeria che si occupa dell'Africa, uno a Singapore che si occupa del Sud Est asiatico e dell'Australia e poi una persona a Shangai che coordina Zonin China e il Giappone.
E quindi ancora rete distributiva?
Non è solo una questione di distribuzione. Occorre studiare da vicino i comportamenti dei consumatori. Basti guardare alla recente esplosione degli spumanti. In Italia il consumo di prosecco ad esempio è equamente distribuito tra uomini e donne. Negli Usa invece oltre il 70% sono donne e nella maggioranza dei casi sotto i 35 anni. Questo significa che ad ogni mercato occorre avere un approccio differente e lo si può fare solo avendo proprie strutture in loco.
Ha citato il Prosecco, è finita la sbornia degli scorsi anni? È in corso un rallentamento della crescita?
Diciamo che attraversa una fase più riflessiva dopo anni di crescita impetuosa. Uno sviluppo che per dimensioni e rapidità non ha eguali al mondo, non solo in Italia. Di fronte ad exploit che non hanno precedenti è difficile anche analizzare ogni aspetto, farsene un'idea precisa. Ora che questo trend sta rallentando si può invece leggere meglio il mercato e soprattutto pianificare il futuro.
Altre denominazioni invece sembrano non trovare pace come ad esempio l'Oltrepo pavese.
Non direi si tratti di un'area turbolenta, i problemi ci sono ovunque. Nel vino spesso i progetti hanno un'ottica generazionale o quasi. Quando arrivi in un'area per cominciare a capirci qualcosa a volte ci vogliono 20 anni. È quello che è capitato a noi con l'Oltrepo, dove siamo giunti nell'87. E ora, abbiamo separato i vini della tenuta Il Bosco dagli spumanti da Pinot nero metodo classico per i quali abbiamo creato un'etichetta ad hoc: “Oltrenero”. Una linea che a breve vedrà il debutto della tipologia Brut Nature con oltre 60 mesi di affinamento sui lieviti.
Insomma una tempistica nella norma
Penso proprio di sì. Avvenne qualcosa del genere anche nel Chianti classico. Noi sbarcammo nel '79 quando l'etichetta di certo non spopolava e di sicuro non era quel fiore all'occhiello che è oggi per qualità delle produzioni, per bellezza del territorio e di conseguenza per il valore complessivo che viene percepito. Speriamo che accada qualcosa del genere anche altrove.


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