Filiere

Agrisole-Conad: la filiera della pasta italiana alla sfida della redditività

A.R.

Il boom dell'export ha contribuito al rilancio della produzione nazionale di grano duro e alla nascita di un nuovo modello di interprofessione ma restano i punti deboli, a partire dalla remunerazione degli agricoltori

Negli ultimi anni ha continuato a macinare record di esportazioni a livello globale, con il fatturato estero che nel 2018 ha raggiunto quota 2,4 miliardi superando anche il picco del 2015. La filiera della pasta, simbolo del made in Italy alimentare e della dieta mediterranea nel mondo, dopo aver vinto la sfida della competitività è chiamata ora a trascinare la ripresa della produzione nazionale di grano duro dopo la lunga crisi seguita alla riforma Pac del 2003 (e, di nuovo, alla crisi dei prezzi successiva alla bolla del 2008). Impresa in parte già riuscita con il ritorno dell'interesse per la coltivazione non solo nelle aree tradizionalmente vocate con nuove (e antiche) varietà, formati. Ma anche ricerca e innovazione. I punti deboli però restano sempre gli stessi: il mondo produttivo agricolo frammentato, la carenza di strutture adeguate per lo stoccaggio differenziato e la logistica. E anche in fondo la vera sfida: garantire una remunerazione adeguata proprio a quella parte agricola che è rimasta l'anello debole della filiera.

Ma le risposte si cominciano a intravedere: dai contratti di filiera, alle nuove strutture di stoccaggio privato su cui puntano alcuni gruppi grandi, medi e piccoli. La logistica è migliorata soprattutto grazie agli stessi contratti di filiera e, va detto, anche al ruolo del 100% italiano che sempre più attira i consumatori. E la grande distribuzione italiana ora promuove questo "quasi modello" di interprofessione. Per celebrarlo Conad ha scelto quest0'anno Campobasso come tappa-snodo in cui riunire alcuni protagonisti della filiera nell'ambito del "Grande Viaggio" intrapreso quest'anno tra le eccellenze del made in Italy agroalimentare.

«Questo è un territorio di grande interesse non solo per il grano e la pasta, ma perché rappresenta un territorio cerniera tra l'area del latifondo è l'area della mezzadria. L'Italia subisce ancora questa divaricazione: la mezzadria ha portato alla nascita dei distretti produttivi e il latifondo allo sviluppo di altri sistemi. Il Molise è nel mezzo, Campobasso è una città media ma una città snodo molto importante», ha detto Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster, presentando l'indagine socio-economica sulla filiera. Non solo numeri: «Quando si parla di grano si parla delle lunghe derive della storia, a partire dalla sacralità della Bibbia. L'impero romano si basava sul granaio siciliano che ne ha consentito l'espansione. Oggi, il nostro capitalismo di territorio ha molto da imparare dalla filiera della pasta: dietro ogni pastaio c'è una famiglia e un territorio, è diventato un modello economico importantissimo e si è razionalizzato». E, soprattutto, «un modello che compete nel mondo globalizzato: in questo contesto va letto anche il discorso sull'import», ha detto Bonomi riferendosi alle polemiche sul grano estero: in un contesto globalizzato, una dinamica perfettamente efficiente.

Come ha ricordato infatti il , direttore generale di Conad, Francesco Avanzini, «la filiera della pasta è diversa dalle altre, è importante soprattutto riuscire ad aggregare storie di imprenditoria, famiglie e territorio. La capacità del distributore è individuare profili di pastifici e aziende che siano in grado di raccontare la storia del prodotto. Comporre un'offerta di competenze. Noi non selezioniamo la materia prima ma esploriamo territori e proposte nuove per una società differenziata. Con un'offerta non ripetitiva ma che racconti ogni singolo pastificio o distretto».

L'identità del made in Italy, che va ricercata nell'eccellenza del saper fare per non restare una parola vuota. «Dobbiamo avere un'identità precisa, la globalizzazione finora è stata un po' come un'un ubriacatura dove con l'apertura dei mercati è mancato l'elemento del racconto», ha detto Paolo Barilla,presidente dell'Associazione delle industrie del dolce e della pasta (Aidepi), oltre che vicepresidente dell'omonimo gruppo. «L'offerta dei pastifici si evolve e migliora, a tutti i livelli. Non bastano però i numeri a fare i leader ma servono le idee. I numeri sono fragili e possono precipitare. Negli Stati Uniti tante grandissime aziende stanno precipitando mentre molti piccoli si stanno affermando. Forse il mondo dove il grande è sempre più grande non è giusto. La vera competizione si gioca sull'eccellenza. La tecnologia è fondamentale, la dobbiamo assecondare ma senza perdere il rapporto con la propria identità. L'Italia rischia di perdere terreno prezioso, dobbiamo combinare capacità e unicità straordinarie con la capacità di innovare. Il made in Italy – ha sottolineato Barilla – non esiste se non c'è un progetto. L'Italia che vale è stata fatta molti anni fa ma oggi, in molti casi, non sappiamo mantenerla».

Michele Dedda ha raccontato il progetto di aggregazione della cooperativa agricola Valverde, di cui è presidente, «che nasce dalla crisi dei prezzi del grano degli anni 2010-2015, di cui è responsabile anche la vecchia Politica agricola comune che dava incentivi a produrre ma senza vincoli sulla qualità». C'è bisogno oggi di coinvolgere gli agricoltori italiani nel progetto di rilancio della filiera. Dal punto di vista della redditività «la situazione è migliorata ma può migliorare ancora, ed è importante farlo perché poi i produttori italiani quando partono non li ferma più nessuno».

Oltre a Nicola De Vita, proprietario del Molino De Vita, a rappresentare l'industria molitoria, "cerniera" tra produttori e pastifici, e a Vincenzo Spinosi, fondatore del pastificio Spinosi, è intervenuto Giuseppe Ferro, amministratore delegato di un'azienda, La Molisana, che «ha unito la filiera». Letteralmente: «Oltre che con i molini, con l'innovazione in campo, dotando i produttori di tutti gli strumenti più avanzati per ottimizzare la qualità del raccolto, e diventando tra i più grandi stoccatori d'Europa». Anche il design del prodotto, per il successo finale, «è fondamentale – ha ricordato Ferro –: bisogna trovare la giusta veste, che può cambiare il corso delle vendite, e il giusto modo di comunicare, che è diverso e con grandi differenze geografiche nei gusti tra Nord, Sud e Centro Italia»


© RIPRODUZIONE RISERVATA