Filiere

Latte, iperspecializzazione e mercati saturi all'origine della crisi del Pecorino

Corrado Fenu*

Produzione in mano a pochi grandi trasformatori, mancanza di investimenti sulle Dop alternative come Fiore e Pecorino Sardo hanno aggravato una dinamica di mercato che ora colpisce soprattutto i piccoli produttori

È vero. È necessario ridare dignità ai produttori offrendo un compenso giusto ed equo. L'offerta di 60 centesimi al litro per il latte ovino è inadeguata per qualsiasi produttore, poiché anche le aziende più strutturate hanno costi di produzione di almeno 1,05-1,10 euro. Più spesso sono superiori.

Come Ordine dei dottori agronomi e dottori forestali sappiamo bene che per uscire dalla situazione che ha originato le proteste dei pastori sardi bisogna trovare delle strategie che consentano una maggiore remunerazione lungo l'intera filiera.

La crisi del Pecorino Romano

Circa il 70% del latte ovino della Sardegna è trasformato in Pecorino Romano. Significa che in questi anni ci si è concentrati su una sola specialità delle tre Dop che rappresentano i formaggi sardi. Oggi i mercati, soprattutto quelli americani (Usa e Canada), sono saturi e il prezzo del prodotto è crollato.

È una semplice dinamica di mercato, ma chi ha investito in greggi e tecnologie, soprattutto se piccolo, non riesce ad assorbire le fluttuazioni repentine. La conseguenza è che chi lavora nelle fasi iniziali della filiera casearia sopporta quasi per intero il peso di questa situazione, subendo come un sopruso le richieste di chi sta al termine della filiera (le centrali d'acquisto).

Piccoli e divisi

Oggi la produzione del Pecorino Romano è in mano a una decina di grandi trasformatori e alcuni più piccoli riuniti in cooperative, le 11 aziende più rilevanti lavorano l'80% del latte trasformato dalle cooperative.

Significa che il comparto è parcellizzato, con allevatori e trasformatori che procedono in ordine sparso, con molte aziende di piccole dimensioni che non sanno fare sistema.
Solo i produttori di formaggio di maggiori dimensioni si reggono finanziariamente e possono assorbire le oscillazioni del prezzo, mentre chi è meno strutturato si trova in un circolo vizioso: per fare cassa aumenta la produzione che poi è costretto a svendere.

È evidente che è giunto il tempo che gli operatori, sia pastori che caseifici, trovino un accordo che li metta in comune, sia esso come organizzazione di produttori o come cooperativa.
Un'aggregazione seria e di sistema, che raggiuga la capacità produttiva di almeno 30 milioni di litri di latte tale da consentire di avere la forza contrattuale di stabilire all'origine sia il prezzo del latte che quello del formaggio.

Una tale dimensione da consentire, inoltre, di definire piani di sviluppo di filiera con prospettiva di medio e lungo termine. Una boccata d'ossigeno per tutti gli attori del comparto.

La sfida globale

La produzione isolana di formaggio, però, non si limita al Pecorino Romano ma annovera anche il Fiore Sardo e il Pecorino Sardo tra le specialità Dop casearie. Sono due specialità qualitativamente superiori che finora non sono state sfruttate per costituire un "piano B" che consentisse di non trovarsi nella condizione odierna.

Le ragioni di questa scelta sono in qualche modo comprensibili nel breve periodo: la produzione di Pecorino Romano è più remunerativa rispetto alle altre specialità, che hanno costi maggiori. Scegliendo la strada facile, però non si sono sfruttate le potenzialità delle altre specialità.

Un cambio di rotta, oggi, è auspicabile e ciò consentirebbe di raggiungere un duplice obiettivo: il primo è di accedere a fasce di mercato diverse che possono assorbire parte della quantità di latte prodotto; il secondo è di poter proporre beni qualitativamente superiori, cercando maggiori remunerazioni che offrano i margini di guadagno superiori.

Un'opportunità all'orizzonte

Ciò che ci aspetta è un grande impegno affinché l'intero comparto faccia un salto qualitativo, valorizzando le competenze tecnico-professionali in tutti i passaggi della filiera produttiva e di quella commerciale.

Gli esempi di aggregazione tra produttori di latte del passato hanno sortito pochi effetti perché non c'è stata la reale comprensione delle sfide che si debbono fronteggiare.
Ai pastori è stato chiesto di essere esperti di materie fiscali e di bilanci aziendali, di essere capaci di stringere contratti con grandi aziende, di conoscere le strategie di marketing e i mercati internazionali. Non ha funzionato.

Il mercato globale richiede competenze specialistiche che solo il contributo di professionisti qualificati al fianco degli allevatori può dare. È necessario lavorare assieme, con competenza e con obiettivi chiari e condivisi: costituire una filiera forte con un futuro solido per molti anni avvenire.

*Coordinatore Dipartimento "Sviluppo sostenibile dei sistemi produttivi vegetali, zootecnici e delle agroenergie" del Conaf


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