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De Nigris: basta con l’Aceto balsamico Igp svenduto nella grande distribuzione

Giorgio dell’Orefice

Il produttore: le svendite di marchi Dop e Igp sono uno sfregio all’Italia che i consorzi di tutela devono combattere. La priorità è creare valore per le filiere certificate attraverso marketing e storytelling che facciano cogliere in Italia e all’estero i plus della qualità made in Italy.

Basta prodotti Dop o Igp svenduti sugli scaffali dei discount che rappresentano un vero sfregio per chi è impegnato a fare made in Italy di qualità. Parte lancia in resta, Armando De Nigris tra i leader dell'Aceto balsamico di Modena Igp (78,5 milioni di euro di fatturato realizzato per l'80% all'estero in 70 paesi) e si scaglia contro quelli che ritiene veri e propri attentati alla qualità italiana. «I nostri prodotti – spiega in questo colloquio con Agrisole – sono il top della qualità alimentare. E, non di rado, nelle mani dei nostri chef diventano vere e proprie opere d'arte. Detto questo, mi chiedo, ma se un turista venisse colto nell'atto di sfregiare il David di Michelangelo verrebbe duramente punito? E perché chi sfregia invece una Dop o una Igp italiana non di rado non subisce alcuna sanzione???».
A far infervorare De Nigris è l'ennesima scoperta che sugli scaffali di talune catene di distribuzione l'Aceto Balsamico Igp di Modena si trova a 0,90 centesimi. «Una confezione di Aceto Igp – spiega ancora De Nigris – dalla raccolta dell'uva fino all'arrivo sullo scaffale deve sottostare ad almeno 34 fasi di lavorazione. Come è possibile che venga svenduta a 0,90 centesimi?».

Spesso si parla di tutela solo riferita ai mercati esteri, ma anche in Italia, evidentemente, il problema si pone.
Infatti, ed è un problema sul quale i consorzi devono fare un salto di qualità mentre invece continuano a essere gestiti con logiche giurassiche. Tornando all'ipotesi dei marchi Dop e Igp svenduti in talune catene di distribuzione, i consorzi non possono dribblare il problema. Delle due l'una: o non se ne sono mai accorti e allora hanno incompetenze professionali al loro interno. Oppure – ed è ovviamente l'ipotesi peggiore – vi sono interessi di qualche produttore all'interno che realizza questo tipo di business con la ‘distrazione' dello stesso consorzio. Che poi, detto tra noi, non mi sembra un grande affare.
Eppure i consorzi qualche risultato l'hanno raggiunto, come la vittoria in Germania dove è stato riconosciuto che il termine balsamico non può essere evocato da chi non è Aceto Igp di Modena.
Certo una prima importante vittoria, ma la partita non è chiusa. E io non voglio neanche immaginare cosa possa accadere alla mia azienda e all'intero settore qualora invece in appello venisse sancito che il termine “balsamico” è da considerarsi generico. Il Consorzio, al quale per quanto fatto fin qui va il mio plauso, ce l'ha un “piano B”?
Non va bene quindi l'azione di tutela svolta dal sistema consortile?
Va bene, ma quella è di default. Occorre ora fare un passo in più soprattutto sul terreno della valorizzazione. Dobbiamo creare valore da redistribuire lungo la filiera mentre restando impigliati in una guerra sui prezzi al ribasso rischiamo di redistribuire solo povertà.
Lei ha una ricetta per creare valore?
Io so che abbiamo l'agricoltura più pulita d'Europa ovvero quella a minor impatto ambientale, abbiamo un'industria alimentare che realizza prodotti di qualità riconosciuta ovunque nel mondo e che negli anni ha imparato anche a produrre sicurezza alimentare visto che è forse l'anello della filiera più controllato. Abbiamo un sistema di controlli che tra Repressione frodi, Nas, Guardia di Finanza è tra i migliori al mondo tanto che il nostro sistema è studiato all'estero. Ora dobbiamo ora tesaurizzare questi primati, dobbiamo metterli a sistema per creare valore.
Molto bello ma come si fa?
Dobbiamo raccontare tutto questo. Io ci sto provando con l'esperienza di Balsamico Village. Abbiamo creato il primo parco dedicato a un'indicazione geografica protetta che ha registrato 2.500 visitatori paganti in 16 mesi. Ho servito 2mila pasti, tutti hanno “morso il territorio”. Questo significa fare cultura e dare valore aggiunto, remunerare sul prodotto e alla fine distribuire dividendi. Ma io sono una singola azienda. Operazioni del genere e su scala più vasta dovrebbero essere avviate dai consorzi.
Senza dimenticare la nuova stagione politica. Ad esempio le nuove competenze sul turismo confluite nel ministero delle Politiche agricole possono dare una mano?
L'alimentare italiano ha un problema di valorizzazione, tanto in Italia quanto all'estero, ha bisogno di un'azione forte per far comprendere ai consumatori che bisogna riconoscere alle griffe del made in Italy quel plus di valore che spetta loro. In questa ottica già nei mesi scorsi avevamo immaginato un'ipotesi di authority o di cabina di regìa per la valorizzazione del “saper fare italiano”. Ma al di là del format che sarà scelto questa è la priorità del settore agroalimentare italiano e mi auguro che i nuovi vertici del ministero delle Politiche agricole e del Turismo la mettano presto in pratica.


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