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Agrisole-Conad: giovani e innovazione gli ingredienti per rilanciare l'uva da tavola

Vincenzo Rutigliano

La tappa pugliese del viaggio nelle filiere ha messo in luce le potenzialità del settore ma anche i problemi storici che frenano la crescita, a partire da un tessuto produttivo frammentato e dominato da pochi big

Età anagrafica dei viticoltori da mensa pugliesi mediamente più bassa che per le altre colture; produzione scesa, tra il 2009 ed il 2018, da 10 milioni di quintali a poco più di 6, effetto della minore sau investita passata, nello stesso periodo, da oltre 40mila ettari a 30mila; primato produttivo per quantità prodotte, nel 2018, dell'area di Taranto con il 22,8% sul totale italiano contro il 21,9% della provincia di Bari ed il 10,3% della Bat, mentre nel 2017, per superfici investite, il primato è della provincia barese, con il 22,7% sul totale italiano, rispetto al 17,4% del tarantino e l'8,8% della Bat. Nel confronto con la Sicilia poi, la Puglia è in testa anche per rese medie pari, nel periodo 2009-2018, a 240 quintali contro i 207 della viticoltura isolana. Questa la fotografia che emerge dal report realizzato dall'equipe diretta da Aldo Bonomi, sulla filiera dell'uva da tavola pugliese, e al centro della tappa tarantina, dal 3 al 5 ottobre, del Grande Viaggio di Conad nelle filiere agroalimentari italiane.

Il dato di maggiore prospettiva è proprio quello della presenza nella filiera, al contrario di altri settori, di imprenditori giovani, o quanto meno con età media più bassa, dunque pronti a recepire le innovazioni (nella stessa lavorazione della terra, negli innesti) e, in molti casi, più propensi dei genitori a costituire forme aggregate per la gestione dell'intera filiera. Produttori più giovani significa anche «più voglia di sperimentazione che qui – spiega Lucia La Penna della Flai Cgil di Taranto – sta avvenendo in modo spontaneo, senza nessun tipo di organizzazione, magari partendo da una condizione di necessità, come opportunità occupazionale che segna un ritorno alla terra. Come dimostrano le esperienze di giovanissimi che, ad esempio, prendono in affitto e non solo, masserie, in cui producono il biologico». La presenza di più giovani è il risultato della scelta del Psr pugliese di sostenere il loro ingresso con i premi di primo insediamento, quasi 5mila nella vecchia ed altrettanti nella nuova programmazione.

Tessuto produttivo frammentato: prevalgono pochi grandi gruppi

Quanto al tessuto produttivo – si legge nel report – la base è costituita da aziende monoprodotto e da aziende che affiancano a quelle di uva altre colture frutticole. Dal punto di vista fondiario il panorama è sempre parcellizzato con alcuni grandi produttori privati che dispongono di fondi propri ai quali tendono ad aggregare, costellazioni più o meno vaste, di piccoli produttori che condividono protocolli fitosanitari e programmi comuni di filiera. I ruoli nella filiera sono definiti: i conferitori portano il prodotto grezzo che poi viene lavorato nelle strutture delle grandi aziende che invece provvedono, direttamente, al taglio nei loro come nei campi dei conferitori. Dopo il taglio, l'uva viene lavorata nei centri di confezionamento per poi essere immessa nel circuito distribuito con la relativa tracciabilità del prodotto e del produttore. L'introduzione dei sistemi di tracciabilità dal campo allo scaffale è avvenuta nel corso degli ultimi 15 anni.

Innovazione varietale decisiva, i programmi in Puglia

Col tempo ha assunto centralità la ricerca varietale per ampliare l'offerta e allungare la stagionalità del prodotto, un tema che è appannaggio quasi esclusivo di grandi realtà multinazionali e su cui l'Italia è rimasta molto indietro. «Per questo – spiega Federico Stanghetta di Conad – occorre andare oltre le classiche uve Italia o Vittoria. Per questo recentemente sono in corso di registrazione nuove varietà tipo la Musa e l'Aisha, ma è troppo poco, è poca roba». Qualche passo avanti si sta portando avanti sia a livello pubblico che privato. «Due anni fa – spiega Nicola Giuliano della OP Giuliano di Turi, nel barese – abbiamo deciso di finanziare i centri di ricerca italiani e messo in piedi tre strutture, due privati ed il Crea, pubblico, ma quest'ultimo ancora senza risultati. Diciamo che mentre sul processo produttivo siamo molto avanti, sull'innovazione di prodotto ci stiamo muovendo con ritardo, ma ci stiamo muovendo».

Grandi attese ci sono dai programmi di breeding avviati negli ultimi tempi in Puglia. Quello più datato è sviluppato dalla società Grape & Grape che ha già lanciato alcune varietà: Luisa, Fiammetta, Apulia Rose. Altro programma da cui ci si attendono importanti risultati è quello sviluppato dal Crea-Utv di Turi, che comprende decine di selezioni in avanzato stato di valutazione e pronte per essere proposte ai viticoltori. Vi è però una difficoltà complessiva dei piccoli e medi produttori ad immaginarsi da qui a qualche anno e questo perché, avverte Luca Lazzàro ,presidente di Confagricoltura Puglia, «hanno difficoltà ad interfacciarsi con il mercato delle nuove varietà che è protetto da privativa industriale e quindi royalties, contratti di filiera, club di prodotto».

Aggregazione e ruolo delle Op

Serve quindi più forza collettiva e ritorna il tema della territorialità, il localismo, per cui è difficile allargare le Op, mettere insieme Taranto e Bari, nord barese e sud est barese. Vi è un deficit di strategia complessiva legata ad una cultura imprenditoriale di fondo che fatica ad attrezzarsi sotto il profilo manageriale e ad emanciparsi da una forte attitudine commerciale orientata al breve termine,e secondo criteri di opportunità puramente individuali. Per questo lo sforzo di modernizzazione del comparto è principalmente in capo ad alcuni grandi operatori capaci di presidiare segmenti importanti di filiera (coltivazione, condizionamento e commercializzazione) con numeri e volumi rilevanti.

C'è quindi, secondo Giuliano, «un po' di reticenza, nel passare da una produzione libera, di uva con semi, che non sta più remunerando, ad una produzione vincolata, cioè a pagamento, per le senza semi coperte da brevetto, che però è remunerativa. Il produttore tradizionale fatica un po' ad accettare questo sistema, per questo abbiamo raccolto intorno ai noi una Op con quelli che credono nel progetto». Ritorna il tema della aggregazione: «Bisogna creare delle cooperative di produttori, le Op, è l'unica arma che abbiamo – dice anche Vito Salerno della Salerno Group srl –. Se noi garantiamo una certa qualità costante per Conad o Esselunga o Coop questi ti premiano. Noi commercianti siamo disposti a pagare di più se il prodotto vale di più. Per questo l'anno prossimo ho intenzione di fare una Op, ma la faccio per conto mio, di terreni ne ho abbastanza, ci inserisco qualche azienda che mi conferisce l'uva e che mi segue da un anno all'altro. Questo perché i piccoli da soli non riescono a mettersi insieme, c'è ignoranza».

L'opzione aggregativa in Op deve però misurarsi con un certo atteggiamento definito predatorio da parte del segmento della Gdo che propone politiche di prezzo così aggressive. «Se la situazione è quella che abbiamo oggi fatte salve alcune eccezioni, in cui la Gdo – denuncia La Penna – si affaccia alle Op con la doppia asta al ribasso e poi le stesse Op condizionano il piccolo produttore ad abbassare ulteriormente il prezzo, allora il piccolo dice: rimango come sto e me la gestisco con il commerciante come l'ho sempre gestita».


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